In tutta l’Unione europea crescono i dubbi sulla capacità di rispettare la scadenza del 2035 per eliminare i motori a combustione interna. In un’intervista a La Stampa, il vicepresidente della Commissione europea per la strategia industriale, Stéphane Séjourné, ha sostenuto che l’Europa deve liberarsi di ogni ingenuità e adattare la politica industriale alle pressioni reali, soprattutto all’espansione dei marchi cinesi.

Ha avvertito che il continente rischia di perdere fino a 4 milioni di veicoli l’anno se il passaggio all’elettrico non verrà gestito con flessibilità. Séjourné ha proposto di riconsiderare il divieto sui motori termici e di alleggerire alcuni requisiti per i costruttori, in particolare per chi sviluppa produzione locale e mette in listino elettriche accessibili fino a 15.000 euro.

Il punto, ha detto, è mantenere l’Europa competitiva e schermare gli impianti da investimenti cinesi che potrebbero poggiare su capacità locali pur avvantaggiando, in ultima analisi, la Cina. Sul tavolo ci sono condizioni più rigide per l’assemblaggio di marchi cinesi in Europa e la diversificazione delle materie prime verso Canada, Brasile e Africa. Una linea che suona come realismo operativo.

La Commissione europea presenterà una strategia aggiornata il 10 dicembre. Secondo gli esperti, queste indicazioni vengono lette come la mossa iniziale per rivedere i target climatici e, forse, rinviare il bando ai motori termici. Più che una marcia indietro, emerge una correzione di rotta pragmatica: il riconoscimento che spingere l’elettrificazione senza flessibilità rischia di presentare un conto economico. Un equilibrio che, guardando al mercato, appare la via più praticabile.