I ricercatori giapponesi del National Institute for Materials Science (NIMS) hanno annunciato un passo significativo verso la batteria litio‑aria, una tecnologia che, sulla carta, potrebbe offrire alle auto elettriche un’autonomia paragonabile a quella dei modelli a benzina. Al centro del risultato c’è una nuova membrana di carbonio capace di gestire con precisione il modo in cui l’ossigeno interagisce con il litio.

Il tallone d’Achille di queste celle è sempre stato l’instabilità e il rapido decadimento della capacità. Il team lo ha affrontato con una membrana porosa multistrato che combina micro, meso e macropori tra 2 e 50 nanometri. Un’architettura pensata per uniformare la distribuzione dell’ossigeno, ridurre le perdite di elettrolita e migliorare la stabilità termica della cella.

I numeri, per ora, sono convincenti: un prototipo ha raggiunto 360 Wh/kg, circa il doppio rispetto alle batterie agli ioni di litio attuali. Le valutazioni indicano oltre 700 Wh/kg in prospettiva, con un limite teorico vicino a 11.000 Wh/kg, cioè un valore che si avvicina alla densità energetica della benzina. Nei test, sei elettrodi hanno completato 19 cicli senza cali di prestazione, un risultato raro per questa categoria di accumulatori.

Non meno rilevante è il segnale di scalabilità. I ricercatori hanno realizzato elettrodi più grandi, da 10×10 cm, lasciando intravedere un passaggio dagli esperimenti da banco a una fase preindustriale iniziale. Poiché le celle litio‑aria prelevano ossigeno dall’ambiente, liberano spazio all’interno della batteria e spingono più in alto la densità energetica.

Questo approccio appare particolarmente promettente per veicoli elettrici, aviazione leggera ed elettronica portatile, cioè ovunque il peso faccia davvero la differenza. Se la tecnologia arriverà alla produzione su larga scala, il mercato delle EV potrebbe cambiare passo: con una densità energetica da due a tre volte superiore agli attuali pacchi, l’ansia da autonomia perderebbe mordente e le auto a benzina avrebbero un rivale concreto. A conti fatti, il punto di svolta sembra a portata, a patto che durata e numero di cicli crescano di pari passo man mano che l’hardware si ingrandisce; è proprio lì che, di solito, si vede la distanza tra un prototipo brillante e una soluzione pronta per la strada.